lunedì 10 febbraio 2014

"LA SERVA PADRONA" 2009

- La Serva Padrona -


La serva padrona è un celebre intermezzo buffo di Giovan Battista Pergolesi. Composta su libretto di Gennaro Antonio Federico


Teatro Grazia Deledda di Paulilatino (OR)
Dicembre 2009

Serpina: SCILLA CRISTIANO
Uberto: Francesco Facini 

Direttore: Angelo Guaragna
regia: Aldo Tarabella


Atto primo - Anticamera
Uberto, svegliatosi da poco è arrabbiato perché la serva, Serpina (SCILLA CRISTIANO), tarda a potargli la tazza di cioccolato con cui è solito iniziare la giornata (Aspettare e non venire), e perché il servo, Vespone, non gli ha ancora fatto la barba. Invia, quindi, il garzone alla ricerca di Serpina, e questa si presenta dopo un certo tempo, ed affermando di essere stufa, e che, pur essendo serva, vuole essere rispettata e riverita come una vera signora. Uberto perde la pazienza intimando alla giovane di cambiare atteggiamento (Sempre in contrasti con te si sta). Serpina, non troppo turbata, si lamenta a sua volta di ricevere solo rimbrotti nonostante le continue cure che dedica al padrone, e gli intima di zittirsi (Stizzoso, mio stizzoso). Uberto si arrabbia e decide di prendere moglie per avere qualcuno che possa riuscire a contrastare la serva impertinente, ordina a Vespone di andare alla ricerca di una donna da maritare e chiede gli vengano portati gli abiti ed il bastone per uscire, al che Serpina gli intima di rimanere a casa perché ormai è tardi, e che se si azzarda ad uscire, lei lo chiuderà fuori. Inizia un vivace battibecco, che evidentemente è già avvenuto varie volte, ed in cui Serpina chiede al padrone di essere sposata, ma Uberto rifiuta recisamente (Duetto Lo conosco a quegli occhietti / Signorina v'ingannate).
 
Atto secondo - Stessa Anticamera
Serpina ha convinto Vespone, con la promessa che sarà un secondo padrone, ad aiutarla nel suo proposito di maritare Uberto, quindi Vespone si è travestito da Capitan Tempesta ed attende di entrare in scena.
Serpina cerca di attirare l’attenzione di Uberto, rivelandogli che anche lei ha trovato un marito e che si tratta di un soldato chiamato Capitan Tempesta. Uberto, dolorosamente colpito dalla notizia, cerca di non farlo notare deridendo la serva, ma lasciandosi sfuggire, alla fine del recitativo, che, nonostante tutto, nutre nei suoi confronti un certo affetto e che sentirà la sua mancanza. Serpina, rendendosi conto di essere vicina alla vittoria, dà la stoccata finale, usando la carta della pietà, dicendogli di non dimenticarsi di lei e di perdonarla se a volte è stata impertinente (A Serpina penserete). Terminata l’aria Serpina chiede ad Uberto se vuol conoscere il suo sposo, ed egli accetta a malincuore, Serpina esce fingendo di andare a chiamare il promesso sposo. Uberto rimasto solo si interroga e pur rendendosi conto di essere innamorato della sua serva, sa che i rigidi canoni dell’epoca rendono impensabile un nobile possa prendere in moglie la propria serva (Son imbrogliato io già). I suoi pensieri sono interrotti dall'arrivo di Serpina in compagnia di Vespone/Capitan Tempesta. Uberto è al tempo stesso esterrefatto e geloso. Il Capitano, che non parla per non farsi riconoscere, per bocca di Serpina, ingiunge ad Uberto di pagarle una dote di 4.000 scudi oppure il matrimonio non avverrà e sarà invece Uberto a doverla maritare, alle rimostranze di quest'ultimo, il militare minaccia di ricorrere alle maniere forti, al che Uberto cede e dichiara di accettare Serpina come moglie. Vespone si toglie il travestimento ma il padrone, in realtà felice di come si siano messi i fatti, lo perdona e l'opera finisce con la frase che è la chiave di volta di tutta la vicenda: E di serva divenni io già padrona

 
 

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